NOCI – Lo scorso 23 settembre, all’interno del Chiostro delle Clarisse si è tenuta una bellissima serata in memoria di Eduardo De Filippo, che ci lasciava quarant’anni fa, il 31 ottobre 1984. L’evento, organizzato dall’Uten (Università della Terza Età) è stato incentrato su una veste che non tutti conoscono di lui: quella poetica. Dopo i saluti del presidente Uten, Cesareo Putignano, a declamare, o meglio a recitare (sì, perché le poesie di De Filippo vanno recitate con il cuore) è stato il Prof. Franco Terlizzi. La sua straordinaria e vivacissima capacità interpretativa ha completamente coinvolto ed entusiasmato la platea.
Eduardo De Filippo: un nome che non ha bisogno di alcuna presentazione, trattandosi di uno dei più grandi commediografi, registi e attori del 900’. Tutti conosciamo il De Filippo delle immortali commedie, regista integerrimo e ferreo dietro le quinte, ma dotato di una sensibilità unica. Pochi, però, conoscono l’Eduardo poeta. Eppure, i suoi versi sono imprescindibili per conoscere a tutto tondo quella che potremmo definire “la filosofia Eduardiana”. Una filosofia che è già desumibile dal video proiettato in apertura di serata, dove un Eduardo già anziano e sofferente, parla alla platea del teatro greco di Taormina. “Una vita di sacrifici e di gelo, così si fa il teatro! Ma il cuore ha battuto sempre, tutte le sere, ad ogni prima. Anche adesso mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato!”- queste le parole del grande commediografo, poco più di un mese prima della sua dipartita. Emerge dunque quella profonda dicotomia che ha fortemente contrassegnato la vita dell’artista: integrità, senso del dovere e sensibilità. Potremmo dire “testa e cuore”. Nelle sue poesie, scritte quasi tutte in vernacolo napoletano (anzi, in lingua napoletana, ci redarguirebbe lui) Eduardo tocca molteplici aspetti della vita, morte compresa. Quello che in molti ignorano è che Eduardo scriveva di getto una poesia, e magari la lasciava in un cassetto per diverso tempo, anche per anni. Un bel giorno la tirava fuori, la rileggeva e ne traeva ispirazione per una commedia.
E’ il caso, ad esempio de “Tre ppiccerille”, componimento che ha ispirato la celebre “Filumena Marturano”, commedia la cui protagonista ha 3 figli che vuole siano considerati tutti alla stessa maniera. Del tutto contrastante il rapporto di De Filippo con la sua Napoli e con Pulcinella, la maschera tradizionale che ne incarna l’essenza. Alla sua città, chiede “Cosa ti ha fatto la guerra?” I due conflitti mondiali, avevano infatti cambiato profondamente il volto del capoluogo partenopeo. Una Napoli più opulenta, anche per merito dei “nuovi borghesi arricchiti” che durante il boom economico, susseguito al secondo Conflitto Mondiale hanno fatto fortuna, pagando però un prezzo altissimo: la perdita del cuore, della propria umanità e dignità. Per quanto riguarda Pulcinella, Eduardo ce lo presenta come un “Perepè perepè perepè”, ovvero un venditore di aria fritta che non fa altro che ripetere “O cunto purtatel’a me”. In questo modo, quanta gente riesce a raggirare! Nelle poesia del non credente Eduardo, troviamo anche tutto il dolore per la scomparsa delle persone a lui care: la mamma Luisa, della quale si sente profondamente figlio solo dopo la sua dipartita, e ancor di più la figlioletta Luisella, morta in tenerissima età a causa di una emorragia cerebrale. Non trova consolazione nella preghiera, Eduardo. La ritiene bella ma inutile, avulsa dal potere di condizionare un destino già segnato. Anzi, di fronte alla foto di un Santo, è preferibile guardarla in silenzio, senza pregare, in modo poi da non inveire contro la stessa, qualora le preghiere non fossero ascoltate. Un artista ateo che però della fede ha sempre mostrato un profondo rispetto e che forse, negli ultimi anni della sua vita, Dio l’ha cercato. L’ha cercato non piagnucolante, non con l’egoismo di chi ormai sente la morte alitargli sul collo e vuole pentirsi di non aver fino a quel momento creduto. Eduardo cerca Dio con una integrità e una dignità uniche. Come accennato, per Eduardo anche la morte è parte integrante della vita, una tappa praticamente obbligata. L’attore non la guarda con rimpianto, nostalgia, o peggio, terrore. Al contrario, la accetta con compostezza, dignità e perfino pirandelliana ironia. In alcuni suoi versi, rappresenta la morte non con la classica e macabra figura dal volto a teschio, munita di falce, ma sotto le sembianze di una “vecchia cucciulella” che si presenta con il proposito di iniziare a conoscersi, a fare amicizia poco a poco, fino al momento di andar via a braccetto. E nelle valigie da portare in questo viaggio misterioso che non si sa se sancisca una fine o un nuovo inizio, cosa mettere? Certamente “ ‘e fatte” e non “ e fessarie”. Come sicuramente tanti di noi, anche De Filippo si chiede se sia proprio necessario morire per trovare finalmente la pace. “Io vulesse truvà pace, ma na pace senza morte!”- afferma, quasi supplichevolmente nei suoi versi. Troviamo anche un De Filippo socratico, quando scrive, in una delle poche poesie in italiano “Quanto t’hanno chiesto con fervore: “Dio mio, fammi morire!” Io non ti chiedo questo grande onore, ma… fammi incretinire!”. Eh già, perché proprio come sosteneva Socrate, chi ignora, chi vive nella stupidità, a volte vive meglio. Caro, indimenticabile e indimenticato Eduardo, quanto ti abbiamo pensato e quanto continueremo a pensarti nei momenti di difficoltà, ripetendo a noi stessi la tua celeberrima battuta “Addà passà a nuttata!”